M. MIURA KARATE GENOVA
Dojo ligure aderente alla federazione Shotokan Karate International Italia diretta dal Shihan Masaru Miura
Il KARATEGI
In quasi tutte le arti marziali è uso allenarsi indossando un abito Gi (pronuncia: ghi) adeguato; nel Karate quest'abito è il karate-gi (o più comunemente chiamato kimono ), composto da una giacca (uwagi ), da un paio di pantaloni ( zubon ) di cotone bianco e da una cintura ( obi ) il cui colore designa il grado raggiunto dal praticante, da cintura bianca fino a nera.
Oltre al termine specifico "karate-gi", l'abito per la pratica del karate può essere chiamato genericamente "keikogi" o "dogi"; mentre completamente sbagliato è il termine "kimono". Questa antica parola della lingua giapponese, che originariamente significava semplicemente "abito", ai nostri giorni viene usata per indicare uno specifico tipo di vestito tradizionale che nulla ha a che vedere con la pratica delle arti marziali.
Fu il maestro Gichin Funakoshi nel 1921 ad adottare il vestito che ancora oggi viene usato nel Karate; prima non esisteva un abito fissato convenzionalmente per la pratica del karate. Ci si allenava sia con gli abiti di tutti i giorni, sia a torso nudo, in pantaloni corti o con la biancheria intima. Ricordiamo che il clima di Okinawa e caldo, e soprattutto molto caldo in estate; il problema dell'abito non si poneva quindi nello stesso modo che a Tokyo, dove l'inverno e rigido.
La storia del Kimono è narrata in un intervista dal Maestro Gima, diretto allievo del maestro Funakoshi. Egli racconta:
A quell'epoca non esisteva un abito da allenamento particolarmente
concepito per il karate. II Maestro Funakoshi andò ad acquistare un tessuto di
cotone bianco da un grossista a Kanda e confezionò egli stesso l'abito a mano,
copiando l'abito da judo (judogi). Questo vestito era gradevole da indossare,
perchè era leggero, ma aveva l'inconveniente di appiccicarsi al corpo con il
sudore. A dire il vero, era un abito che egli aveva confezionato
frettolosamente, non appena eravamo stati informati della data della
dimostrazione. Non era quindi un abito che si poteva utilizzare per
l'allenamento quotidiano. Io pensavo di mettere un kimono da judo, poichè
praticavo anche il judo. Prima della dimostrazione avevo dunque preparato il mio
judogi ben lavato. Ma il giorno stesso della dimostrazione il Maestro Funakoshi
mi ha dato un abito che aveva confezionato per me con le proprie mani lavorando
tutta la notte. Dandomelo mi ha detto: Dovremo forse presentare insieme alcune
forme di combattimento. Se mettiamo ciascuno un abito differente, non sarà
armonioso. Ho confezionato anche il suo, lo prenda.
Questo kimono bianco, che e diventato progressivamente un
indumento abituale e poi l'indumento ufficiale del karate, sarà introdotto a
Okinawa come una nuova forma della tradizione. La qualità e il colore del vestito variavano secondo
le scuole. Di solito ognuno lo confezionava seguendo il modello in uso nel
proprio dojo. E a partire dal 1880 circa che il judogi viene progressivamente
uniformato.
Il kimono nella psicologia del Budo, aiuta a mettere a nudo la propria personalità
cosicchè ci si possa vedere per quello che realmente si è:
indossare il karate-gi è un modo per rendersi conto che sul tatami le distinzioni esteriori scompaiono e che tutto ciò che tende a diversificarsi si annulla.
G. Funakoshi attraverso il sistema dei gradi stabilì una gerarchia basata sulla capacità tecnica, espressa attraverso i colori della cintura.
Intorno alla vita si trova un importante meridiano del Ki : la cintura deve trovarsi esattamente in questo punto.
La cintura permette di prendere coscienza della forza che c'è in noi e di concentrarla al meglio nella zona del ventre
( hara ); come la cintura non deve essere mai troppo stretta o allentata così l' hara non deve essere troppo teso o rilassato.
Appare superfluo ricordare che, sia per rispetto del dojo e per rispetto degli altri praticanti, il kimono deve essere curato dall'atleta sia per quanto riguarda la sua pulizia che per quanto riguarda il suo aspetto. Pochi semplici gesti sono necessari per piegare il Gi prima di riporlo nella borsa, gesti che esprimono anche il nostro ringraziamento verso chi a casa, materialmente lo cura lavandolo e stirandolo.
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